mercoledì 13 gennaio 2010

Black sheep

Nuova Zelanda. Henry Oldfield ha un trauma nel suo passato. Il fratello Angus, quando erano poco più che bambini, un giorno uccise una pecora e ne indossò il vello sanguinante per spaventarlo. Quella paura, legata anche a un doloroso avvenimento, è rimasta nell’intimo dell’ormai uomo Henry che torna dopo 15 anni di assenza alla fattoria ormai saldamente nelle mani del fratello. Il quale ha assoldato una scienziata perché proceda a esperimenti genetici mai tentati prima sulle pecore.
Quando Grant e la sua amica Experience, due animalisti convinti, riescono a entrare in possesso di uno degli agnelli sottoposti a sperimentazione l’orrore ha inizio. Grant viene infatti morso dall’animale e ha inizio la sua trasformazione in ovino carnivoro. Ben presto l’epidemia si diffonde e il numero delle pecore assetate di sangue si fa elevato. Toccherà proprio ad Henry, vincendo la sua fobia, a Experience e al fattore Tucker cercare di contrastare la loro ferocia.
Soffia un buon vento dalla Nuova Zelanda se, dopo il famosissimo Peter Jackson, ci viene offerta l’opera prima di un regista che certamente si ispira al fratello cinematograficamente maggiore e ai suoi primi film ma che sa anche trovare una propria cifra stilistica.
Jonathan King (pura e semplice coincidenza di cognome con il Maestro dell’horror contemporaneo) dimostra di saper padroneggiare il genere mescolando con maestria il gore, il ribaltamento di ruoli (la pecora che diventa lupo) riuscendo anche a sfiorare il grottesco consapevolmente e senza mai perdere di vista la tensione narrativa.





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