martedì 19 gennaio 2010

2061 – un anno eccezionale

Dopo una tremenda crisi energetica dovuta all’esaurimento delle scorte petrolifere, il mondo è piombato in una sorta di cupo Medioevo. L’Italia è un paese diviso, multietnico, quasi pre-risorgimentale: al nord è nata la Repubblica Longobarda difesa da un muro altissimo; nella Repubblica Popolare di Falce e Mortadella spopolano le balere; la Toscana è tornata ad essere un Granducato dove le fazioni dei Della Valle e dei Cecchi Gori lottano per il potere; al centro è rinato lo Stato Pontificio, un regime integralista dove domina l’Inquisizione; al sud regna il Sultanato delle Due Sicilie, dove le temperature oscillano tra i 32 e i 54 gradi e il maiale costa 1200 dinari al chilo al mercato nero. Da qui, un gruppo d’avventurosi patrioti capitanati dal “Professore” (Diego Abatantuono) intraprende un viaggio grottesco con lo scopo, 200 anni dopo, di rifare l’Italia. Carlo Vanzina firma la regia di un film che s’ispira molto liberamente all’Armata Brancaleone e alle sue atmosfere picaresche, in cui la truppa scalcagnata e volgare di Abatantuono dovrebbe essere una versione postmoderna dell’esercito di Monicelli. Ahimé, però, il paragone, indubbiamente voluto e che riecheggia anche nella citazione delle colonne sonore e nel rifacimento di alcuni tormentoni (tra cui un mulo chiamato Aquilante), non regge nemmeno per i primi cinque minuti d’introduzione. Poteva essere un buon film comico sulla cialtroneria del nostro Paese, che rischia di spaccarsi per colpa dei regionalismi, degli egoismi e della miopia, ma invece di lanciare un grido d’allarme la sceneggiatura, pur con retorici intenti unificatori, cade nel continuo ed eccessivo grottesco delle caricature troppo calcate, dei dialetti usati solo per suscitare risate, dello humor gratuito e delle battute fin troppo scontate. A nulla vale nemmeno il ritorno al passato di Abatantuono, che si crogiola incensandosi da solo, citando le proprie gag di vecchi film e richiamando più e più volte Attila: il doppiaggio stesso eseguito dagli attori sulle proprie scene lascia a desiderare e la pellicola risulta soporifera già dopo la prima mezz’ora di visione e chiude con un triste ed ennesimo richiamo al “Flagello di Dio”. Altrettanto gratuite e fuori luogo le chiamate in causa di amici e colleghi, quali Verdone e la Ferilli, mentre si rivelano, invece, pesanti e ridondanti le svariate pubblicità di marchi, imperanti e al centro delle inquadrature, delle case che hanno sponsorizzato la produzione. La prima arriva a meno di due minuti dall’inizio del film, quando ancora scorrono i titoli di testa… Non regge sicuramente il paragone tra il cameo di Michele Placido, nel ruolo del Cardinale Bonifacio, con Jonathan, meglio noto per il Grande Fratello, che nella parte di Pride si propone come un Jack Sparrow poco felice.
Fortunatamente, il cinema italiano ha anche altre facce.





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